70 Resistenza

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Vita di banda

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Dante Di Nanni

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La banda partigiana come comunità viva, che dilata i suoi confini ben oltre i limiti temporali segnati dalla Resistenza. La canzone degli Stormy Six è esempio mirabile del sentimento di fratellanza e comunanza di ideali che attraversa le generazioni. Luglio 1944: circondato e ferito, il partigiano Dante Di Nanni è asserragliato in un appartamento e ingaggia un lungo scontro a fuoco con i nazifascisti. L’epopea racconta che, terminate le munizioni, pur di non consegnarsi vivo, si trascina verso la ringhiera del balcone e, dopo aver salutato la folla col pugno chiuso e col grido "Viva l'Italia", si getta nel vuoto. Nel 1975 a Milano, in un clima di feroce contrapposizione sociale, gli Stormy Six ne celebrano il coraggio scaraventandolo nel loro tempo e nella loro città: «l'ho visto una mattina sulla metropolitana, sanguinava forte e sorrideva».
Fischia il vento

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Il testo è stato scritto dal colonnello Felice Cascione, comandante partigiano in Liguria, sull’aria del canto popolare Katiuscia, una canzone dell’esercito sovietico scritta nel 1938 dal poeta Michail Isakowski e portata in Italia dai reduci della campagna di Russia. Quasi certamente nasce negli ultimi giorni del 1943 o nei primi del 1944. Inno ufficiale delle Brigate Garibaldi, è il canto che conobbe maggior diffusione durante la Resistenza, come indicato anche dallo storico Roberto Battaglia; tuttora è molto conosciuto. Esempio raro di un frutto della cultura popolare che sopravvive nei decenni: 1965 Milva in Canti della libertà; 1974 Duo di Piadena in Il vento fischia ancora; 1976 Maria Carta in Vi canto una storia assai vera; 1993 Modena City Ramblers in Combat Folk; 1995 Skiantos in Materiale resistente; 2003 Banda Bassotti in Así es mi vida; 2011 Gang in La rossa primavera.
Il valoroso

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Il brano racconta le gesta del partigiano Lino Vescovi (il Valoroso), ucciso nella battaglia del 15 aprile 1945 nel Castello del Monticello, sulle colline piacentine. Prima di morire dirà dei nemici feriti: «Curateli, non maltrattateli». Scritto dal cantautore piacentino Edoardo Cerea e registrato grazie all'iniziativa del Comune di Piacenza per il progetto Progetto "Piacenza Primogenita 1848-2011", il brano documenta la dimensione privata dalla rielaborazione della memoria («mi domando se il modo in cui vivo onora quello che hai fatto tu»), la difficoltà dei valori della Resistenza ad affermarsi su un piano collettivo. Documenta inoltre, nella modalità della sua genesi (finanziamento pubblico), la crisi della cultura e della canzone popolare, priva di un mercato in grado di reggere produzioni significative da parte della discografia, meno che mai impegnata.
Oltre il ponte - Cantacronache

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All'interno dell'esperienza del Cantacronache, il brano venne scritto da Italo Calvino nel 1958 e musicato da Sergio Liberovici nel 1959. Nella canzone, un ex-partigiano narra a sua figlia le avventure in guerra: la vita in banda emerge in tutta la sua durezza anche senza espliciti riferimenti alla fame, al freddo, al dolore, grazie all'immagine del ponte che separa i partigiani dall'altra “riva”, e cioè “dalla vita”. Negli anni del miracolo economico i giovani vivono l'antifascismo in chiave esistenziale, si ribellano alle costruzioni dell'Italia degli anni Cinquanta che era attraversata (su un piano non soltanto culturale e di costume) dalla continuità e dalla conservazione: lo fanno anche ascoltanto i rock'n'roll e i nuovi cantautori. Nella versione originale del brano risuona tuttavia più forte la dimensione intellettuale dell'antifascismo, militante e meno istintiva.
Oltre il ponte - Modena City Ramblers

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Nella versione di Oltre il ponte dei Modena City Ramblers, le parole dell'intellettuale Calvino vengono cantate a voce alta e su una ritmica tipicamente rock (basso e batteria). Questa versione della canzone dimostra la presenza del tema della lotta partigiana presso il pubblico giovanile impegnato degli anni Novanta (l'arrangiamento stesso, potente, orchestrale, documenta la volontà e l'opportunità di farne una canzone da piazza, da concerto rock di grandi dimensioni).
Siamo i ribelli della montagna

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È uno dei pochi canti partigiani originali di cui sia rimasta traccia. Composto nel marzo 1944 dalla 3ª Brigata d'assalto, che operava sul monte Tobbio, nell’Alessandrino, è attribuito a Emilio Casalini (Cini), che, con i compagni, sarebbe l'autore delle parole, e a Angelo Rossi (Lanfranco), studente di musica. Documenta l'asprezza della vita partigiana, il contrasto fra la concretezza della sofferenza e l'altezza degli ideali. Nel tono, nella melodia baldanzosa, in certe formule testuali, si colgono suggestioni risorgimentali. La versione del gruppo Ustmamò documenta l'interesse per il tema della Resistenza, in reazione alla vittoria di Forza Italia alle elezioni del 1994, nella produzione della discografia indipendente. Allo stesso tempo, il tono ipnotico della canzone suggerisce che la ribellione si è spostata su un fronte interiore. Parole partigiane cantate sottovoce.
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