Vita di banda -
Rastrellamenti
I rastrellamenti sono le azioni militari con le quali i nazifascisti nel corso dei venti mesi della Resistenza cercano di liberare il territorio dalla presenza partigiana. Partendo dai fondovalle, con mezzi motorizzati e talvolta con l’impiego di armi pesanti, prendono di mira aree definite in cui esse sono insediate; dopo un attacco in forze, le circondano cercando di tagliare le vie di fuga e poi le perlustrano minuziosamente, colpendo i gruppi e i singoli, spesso infierendo sulla popolazione civile giudicata complice dei partigiani.
È la sproporzione numerica e di mezzi a dettare la strategia partigiana: dopo i primi fallimentari tentativi di resistere con battaglie in campo aperto (come accade ad esempio in Val Casotto nell’autunno del 1943), si comprende che l’unica strada percorribile è resistere su posizioni di difesa prestabilite fintanto che è possibile, per poi ritirarsi lungo vie definite, darsi alla macchia, suddividere le formazioni in gruppi più piccoli per cercare di filtrare tra le maglie della rete stesa dagli occupanti, per poi ritrovarsi e riorganizzarsi, in luoghi di raccolta concordati, alla fine dell’attacco.
Il pericolo dei rastrellamenti incombe costantemente; ogni volta oltre al rischio che la formazione sia spazzata via, che si sia uccisi o catturati, va messo nel conto anche quello di perdere gli equipaggiamenti e i viveri immagazzinati, di dover far fronte alla crescente paura della popolazione che si vede depredare o incendiare le abitazioni. E ogni volta occorre ricompattare i gruppi, riprendere in mano le fila dell’organizzazione, cosa niente affatto semplice, dal momento che occorre colmare i vuoti: ci sono i caduti (morti, feriti o in mano nemica), qualcuno non ha motivazioni sufficientemente salde per accettare di ricominciare dopo lo scampato pericolo, altri pur determinati a proseguire la lotta talvolta scelgono autonomamente di trasferirsi altrove, aggregandosi ad altre formazioni.